
UN BRAVO RAGAZZO
Drammaturgia Valentina Diana
Con Mariagrazia Cerra
Luci e suoni Nicola Rosboch
Scena Marco Ferrero
Ideazione e regia Maurizio Bàbuin
Un grazie particolare a
Enrica Fusaro Monica Prastaro Stefania Gianpaoli
psicologhe e psicoterapeute
Una stanza spoglia ospita una donna di mezza età.
E’ una madre e parla a un figlio. Parla di un figlio.
Lui ha fatto ciò che non si dovrebbe fare. Ma l’ha fatto.
E non si può tornare indietro. Non si può fermare la mano.
Ma se l’ha fatto un motivo, qualche motivo, ci sarà: ci deve essere.
Ne è sicura. Lei lo sa.
Lei si conosce, è una donna, e sa di cosa possono essere capaci le donne. Deve cacciare gli incubi che la assalgono la notte. Lei non è d’accordo con quegli incubi.
Non stanno così le cose.
Non sono andate così.
Ripete lei.
Lui non è cattivo.
Lui non è malato.
Lui non è un mostro.
ma
La madre del mostro è una mamma.
Il mostro è figlio.
Il mostro è figlio suo e il figlio è santo. Sangue del suo sangue carne della sua carne come può essere stato cattivo?
Ci deve essere un errore. Lei scoverà l'errore e lo salverà.
Lei lo difenderà. La sua creatura piccola indifesa è da proteggere. È stato carino, è stato bambino e suo. Fragile e sensibile. Troppo sensibile.
Il figlio e il mostro sono visioni inconciliabili. Una mamma è fatta per amare il figlio. Per difenderlo contro tutti e tutto. E tutte. La madre dubita e dubita. Cerca una magia. L'intruglio dell'amore che va bevuto e mandato giù, come un veleno, come una purificazione.
Lei non è colpevole, lui, il figlio ha tutta la colpa. La colpa è sua.
La madre è la madre del mostro. ma qui, mi chiedo, chi è chi? Chi è il mostro?
Ho provato a chiedermi cosa generi il disastro. Se ci possa essere, almeno in alcuni casi, un terreno che nutra la pazzia. Ho indagato questo. Una madre che non separa, che non si separa, una madre che non vede e non riconosce altro che se stessa.
Non credo sia possibile generalizzare, non credo sia giusto sostenere una tesi univoca, un paradigma assoluto che affermi e in qualche modo dimostri che tutte le madri o tutti i padri abbiano una responsabilità, diretta o collaterale, nella pazzia dei figli.
In questo caso però sono partita dalla fine. Mi sono chiesta che madre ci fosse dietro un figlio così. Un figlio impreparato al dolore, sprovvisto di capacità di sopportazione, un figlio fragile e inconsistente, sempre vittima e una sola volta carnefice. E ho costruito la madre un pezzo alla volta, come un calco: nei dettagli, nei particolari, nel vuoto che le parole vuote non sanno o non vogliono riempire.
Una madre piena di vuoto e di certezze incrollabile.
Una madre mostruosa.
Valentina Diana
