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Ahi! Ahia! Pirati in Corsia!

di M. Bàbuin, E. Cischino, M. Ferrero, E. La Ragione

con Luca Serra  e Fulvia Romeo/Erika La Ragione

luci e fonica Nicola Rosboch

scene Marco Ferrero

aiuto regia Eva Maria Cischino

ideazione e regia Maurizio Bàbuin

foto di scena Stefano Roggero

video Fabio Melotti

 

con la preziosa collaborazione di

dott.sa  Marcella Amerio

UGI – Unione Genitori Italiani

Direzione Sanitaria Città della Salute e della Scienza di Torino

grazie di cuore a

Valentina Aicardi, Franco Leita, Siyana Mihova, Agostino Nardella

 

produzione Santibriganti Teatro

Dai 5 anni per tutti

 

Secondo posto giuria 100 ragazzi 

Festival Internazionale «I Teatri del Mondo» 2016

Come fu, come non fu che Nina si ritrovò in una stanza con un letto e né  la stanza né il letto erano  quelli della sua cameretta?  

«Mamma, papà me lo spiegate?»

Nina capì che quella per un po’ di tempo sarebbe stata la sua nuova cameretta e la sua nuova casa.

«Ma quanto tempo? - Non si sa  -  Come non si sa? - Fino a quando non ti fa più male»

Una nuova casa con mamma, papà, dottori, infermieri, volontari e altri bambini: qualcuno più grande, qualcuno più piccolo, di Nina.  

A proposito di infermieri, ce n’era uno di nome Camillo, che Nina non capiva bene se le era simpatico o no.  Però capitò un giorno che Camillo la fece ridere e soprattutto le fece scoprire la vera storia di Long John Silver: il pirata cattivo dell’Isola del Tesoro.

Ma non tutti i pirati sono cattivi. 

E così Nina –«Capitano dei pirati buoni»-  insieme a Camillo affrontò con coraggio e il sorriso la sua battaglia. E anche se ogni tanto diceva «Ahi!Ahia! mi fa male!» non indietreggiò di un passo e andò all’arrembaggio guidando la sua ciurma come il migliore Capitano dei Pirati.

 

 

Note di regia

Desideriamo raccontare attraverso una storia divertente, emozionante e poetica il rapporto che hanno i bimbi con la parola dolore e con la paura che ne consegue.  In che modo i bambini esprimono o nascondono  (è la stessa cosa) il proprio dolore, o meglio, qualcosa che per loro è ancora così difficile da riconoscere e tanto più da definire. E chissà se il dolore fisico, anche quello dei piccoli quasi quotidiani incidenti dei bimbi, potrà in qualche modo avvicinarli e aiutarli a comprendere e superare anche le sofferenze profonde e di non facile comprensione per la loro giovane età?

Troppo spesso si tende a nascondere ai bimbi tutto quello che rischia di metterli in relazione con il dolore. Certo per motivi comprensibili che hanno a che fare con la natura protettiva genitoriale. Forse non sempre li si aiuta in questo modo.

Ma per fortuna, dalla notte dei tempi, ci giunge in soccorso ciò che di meraviglioso ha creato l’uomo attraverso la fantasia e l’artificio: le favole, le storie, il teatro.

La storia, nasce con l’incontro di due giovani vite (una bimba e un giovane infermiere) all’interno di un luogo dove il dolore alberga quotidianamente: la stanza di un ospedale.

 

 Prima dello spettacolo

“Ahi!Ahia! Pirati in corsia!” è nato grazie anche ai fondamentali incontri con l’UGI-Unione Genitori Italiani e alle esperienze con i genitori, volontari,  infermieri, medici, ma soprattutto con i bambini e  i ragazzi accolti e ospitati presso Casa Ugi e ricoverati nei reparti di lunga degenza dell’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino.

DICONO

Rischiosissimo e per questo assai raro trovare nel teatro ragazzi il tema della malattia, sia per l'argomento considerato stoltamente (come del resto la morte e la sessualità) un tabù e quindi da non offrire in nessun modo al giovane pubblico, sia per l'alto tasso di retorica che il tema potrebbe contenere. Ci ha provato con buoni risultati SantibrigantiTeatro con “ Ahi!Ahia! Pirati in corsia” dove Luca Busnengo e Fulvia Romeo sono rispettivamente Camillo, un giovane infermiere e Nina, una ragazza malata che si ritrovano in una stanza di ospedale.

Lo spettacolo attraverso la rappresentazione di vari spezzoni di vita, spesso accompagnati da sole azioni, intromette gli spettatori nei riti di una quotidianità composta dai soliti gesti che accompagnano la lunga degenza di una piccola malata alla ricerca di una cura per una malattia grave, rappresentata da una bandana che ricopre il capo di Nina. Il rapporto tra i due protagonisti, prima conflittuale, si trasforma piano piano in un 'amicizia che si fa sempre più forte, attraverso la metafora proposta dalla lettura dell'Isola del Tesoro di Stevenson, insita soprattutto nel rapporto tra il giovane Jim e Long John Silver, il pirata paternalmente cattivo, non solo rappresentato dall'infermiere ma dalla stessa malattia sempre in agguato. E così in questo modo Nina e Camillo affrontano insieme giocando la loro battaglia contro il male , alla fine sconfiggendolo. Si ritroveranno senza saperlo, molto tempo dopo, ancora una volta in ospedale per un incontro inatteso che ci ammonisce come la speranza ci debba sempre accompagnare, anche nei momenti più difficili.

Ahi!Ahia! Pirati in corsia”parla in modo dolcemente furtivo, senza quasi mai accennarli, al dolore e alla sua paura, in qualche modo puntando il suo accento piuttosto sulla ospedalizzazione che sul tema più spinoso della malattia, ma lo fa in modo rispettoso verso uno spettatore bambino che della morte ne ha appena sentito parlare.

Dopo “YoYo perdiruota” , nato dal desiderio di raccontare la disabilità che incontra l’abilità, lo spettacolo ne continua il tema in modo interessante, attraverso l' incontro con l’UGI-Unione Genitori Italiani e con i volontari, genitori, infermieri, medici, ma soprattutto bambini ospiti dell’Ugi e ricoverati nei reparti di lunga degenza dell’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino.

Mario Bianchi,  Eolo - Festival Giocateatro 2016

…Ecco Ahi! Ahia! afferma,  fra  risate e goliardia,  tra  sketch e pantomima  - attraverso un  linguaggio  teatrale che  pone  al  centro  l'attore  e  il  gesto  -  l'importanza  antropologica  e  sociale  dello  scambio intergenerazionale. E ancora, in sordina e tra le righe, Ahi! Ahia! nasconde in sé l'importanza fondamentale per qualsiasi essere vivente,  della  coltivazione  della  fantasia  e  dell'immaginazione,  la  stessa  che  trasforma  la  stanza dell'ospedale nel luogo in cui i pirati iniziano il loro viaggio verso i setti mari. Fantasia che fa di un  letto una nave,  e  di  una  coperta,  la  bandiera  di  una  ciurma.  E  tale  capacità  non  è  alimentata  da  un'ipad  o  da  un video  giochi,  di  cui  tutti  i  bambini,  oggi,  sono  vittime  per  la  noncuranza  dei  genitori, ma  è  demandato, ancora e per fortuna, al potere della letteratura. Il libro, in Ahi! Ahia! si fa centro della relazione fra bimbo e adulto, e galeotto li

unirà nel ricordo perenne. E se una volta fuori dalle mura del teatro, per caso e senza volerlo, scoprirete una lacrima cadere dai vostri occhi per il senso profondo di Ahi! Ahia!, non sorprendetevi. Tenete stretti i vostri piccoli, guardateli e ditegli grazie. Perché loro, senza alcun dubbio, sono i migliori maestri che possiate (possiamo) avere! E nel pianto, la catarsi originaria del teatro.

Giovanni Bertuccio

whipart.it/teatro/10174/santibriganti-Ahi!Ahia! –

Ho assistito domenica scorsa al vostro spettacolo "Ahi!Ahi!Pirati in corsia" con una delle mie figlie e mia nipotina.
Volevo dire un GRANDE grazie a tutti voi, attori, regista e chi non si vede ma c'è ed aiuta alla riuscita dello spettacolo.
Mi sono sentita molto coinvolta due volte:
la prima per lo spettacolo in sé, perché sono sicura che potrebbe aiutare tanto i bimbi (e i genitori) che vengono ricoverati in ospedale, in oncologia o in ematologia, per scaricare tutte le paure e le incertezze che li colgono quando arrivano e poi vivendo in ospedale per periodi più o meno lunghi;
la seconda perché mi ha toccato molto (avevo le lacrime agli occhi e qualcosa che non so spiegare a parole ma che mi stringeva il cuore) avendo vissuto e conosciuto tutto quel percorso anni fa con l'altra mia figlia. Anni dopo lei mi disse una volta " lo sai , mamma, quando ero in cura, alla sera avevo paura di addormentarmi per la paura di non svegliarmi al mattino". Questa frase mi ha fatto male perché non sapevo di questa sua paura e perché così non avevo potuto aiutarla a superarla. In quegli anni sono loro, i nostri bambini e ragazzi, che ci aiutano ad andare avanti, sono loro che ci danno la forza; sono piccoli GRANDI uomini e donne. Ma c'è anche bisogno di trovare dall'altra parte degli operatori sanitari e non, (penso ai grandi volontari dell'UGI) che  stiano vicini ai bimbi con affetto e

amore come Camillo. Speriamo ci siano sempre più Camilli in giro negli ospedali....
GRAZIE DI CUORE. Auguri al vostro staff di proseguire sempre così sulla strada che avete intrapreso.

Una mamma

È la storia di un incontro: fra Nina e Camillo, eppure, sin dall'inizio di questa esperienza, come in un gioco di specchi, ha sempre evocato in me tanti altri incontri. Fra la bambina e la malattia, fra la famiglia e l'ospedale, fra i medici e i genitori, fra la realtà nuda e cruda e la fantasia smisurata dei bambini e di chi conserva una scintilla d' infanzia e di voglia di giocare. Poi, quasi il contenitore di tutto questo, l'incontro fra la mia esperienza trentennale di medico con chi del teatro ha fatto missione e professione.

Quale il denominatore comune, quale il punto d'incontro; indefinito all'inizio, quando la storia era frammenti di storie raccolte con pazienza e pudore, ma via via più definito mentre le scene prendevano forma, i personaggi tono e colore? Chi svolge una professione d'aiuto (medico, infermiere, educatore, insegnante...) si trova a “maneggiare” e districarsi fra emozioni, quelle di chi aiuta, quelle  proprie e  quelle che nascono dall'incontro fra i due.

In Camillo, chiunque svolga tali professione ritrova, così come me, momenti intensi di vissuto.  Nina ha fatto emergere, dopo trenta anni in cui si erano nascosti nel cuore, i miei bambini dell'Ematologia e me, giovane borsista Ugi di allora, che dividevo con loro il percorso di malattia e l'incontenibile voglia di gioco.

Ed il teatro, gli attori che conoscono bene l'alfabeto delle emozioni, dai racconti di vita vera, con la loro sensibilità e maestria hanno reso la storia di Nina reale e viva.

Emozioni, un linguaggio comune ed universale, da conoscere ed utilizzare, per stare bene, per vivere meglio. Ecco perché “il teatro è salute”, perché ci porta a contatto con un bene comune: portiamo il teatro ai bambini ed i bambini al teatro.

 dott.ssa Marcella Amerio

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